È di pochi giorni fa la notizia di Bailey Cooper, un bambino di 9 anni affetto da linfoma non-Hodgkin, che, purtroppo, dopo solo 15 mesi dalla diagnosi della malattia, ha lasciato la sua famiglia, tra cui i genitori e i fratelli minori. A far riflettere, però, non è soltanto la drammaticità dell’evento in cui un bambino così piccolo abbia perso la vita a causa di un male incurabile come il cancro, ma la sua intera storia, la sua forza d’animo, il modo in cui, fino all’ultimo istante, ha combattuto contro la malattia e, non per ultimo, il modo in cui ha fronteggiato l’esito infausto della stessa, rimanendo sempre un punto di riferimento e di conforto per l’intera sua famiglia.

Bailey si ammala nel settembre del 2016 e da lì in poi ci sarà, per lui e per la sua famiglia, un continuo andirivieni dall’ospedale, tra remissioni e recidive, fino a che nell’agosto 2017 non farà la sua comparsa l’ennesima recidiva, a seguito della quale i medici informeranno i genitori del piccolo Bailey che purtroppo le sue condizioni non potranno far altro che peggiorare. Al piccolo vengono date così poche settimane di vita e i genitori decidono di informarlo sul suo stato di salute, rendendolo pienamente consapevole delle conseguenze che di lì a breve lo avrebbero travolto. La reazione del piccolo Bailey sorprenderà positivamente tutta la sua famiglia. Quel bambino, nonostante la sua tenerissima età e le sue precarie condizioni di salute, da lì in poi diventerà la forza d’animo dell’intera famiglia, il loro punto di riferimento e riuscirà a dar loro la spinta giusta per affrontare la situazione con coraggio e dignità.
L’immenso desiderio che il piccolo riserva nel conoscere la sua sorellina, a quel tempo ancora nel grembo materno, porterà Bailey a reagire a questa infausta notizia con grandissima forza ed energia, tanto da riuscire, al di là delle prognosi negative, a conoscere la sua sorellina, a tenerla in braccio, a stringerla a sé, talvolta, cantandole la “ninna nanna”, finché, alla vigila di Natale, le sue forze lo abbandoneranno.
Il forte carattere del piccolo Bailey gli permetterà di affrontare, insieme alla sua famiglia, l’argomento del suo funerale: sarà il piccolo, infatti, a chiedere che tutti i presenti quel giorno dovranno vestirsi da supereroi, mentre ai genitori concederà di piangere “solo per 20 minuti”, a seguito dei quali loro compito sarà occuparsi dei fratellini più piccoli.
Sarà lo stesso Bailey, rivolgendosi alla nonna che disperata gli confiderà di voler prendere il suo posto, a dirle di non pensare neanche un po’ a questa possibilità perché suo compito sarà quello di prendersi cura degli altri suoi nipoti.
E infine, riferendosi alla piccola sorellina, sarà sempre lui a dire: “Vorrei rimanere, ma è tempo che io vada e diventi il suo angelo custode”.

Bailey ha potuto decidere dei suoi ultimi giorni della sua vita e lo ha fatto con grande forza e coraggio. Gli è stato concesso di farlo, dai genitori, ma anche dai medici stessi, che hanno fatto si che si rendesse conto della sua situazione.
Bailey ha potuto prendere consapevolezza di ciò che gli stava capitando, ha potuto programmare gli ultimi giorni della sua vita, gli ultimi istanti. Ciò che desiderava più di ogni altra cosa al mondo era riuscire a tenere la sua piccola sorellina tra le sue braccia…e c’è riuscito! E, in quel tempo che gli rimaneva è riuscito ad organizzare il suo funerale, a dare delle “dritte” ai genitori su come programmare quella giornata.
Bailey ha potuto fare tutto questo, ha potuto decidere degli ultimi giorni della sua vita, perché gli è stato concesso. Perché i genitori, insieme ai suoi medici, hanno deciso di renderlo consapevole della sua drammatica situazione. Se non fosse stato informato delle sue condizioni cliniche, non avrebbe compreso la gravità della situazione, non sarebbe riuscito a godere a pieno del tempo che gli rimaneva, a dare il giusto peso alle cose, a salutare i suoi cari, a lasciare che gli altri lo ricordassero così come lui avrebbe voluto.
Sarebbe andato via, semplicemente, senza poter esprimere le sue ultime volontà.

Nell’ambito delle cure palliative accade non di rado, purtroppo, che, nello stadio terminale della malattia, venga informata soltanto la famiglia del paziente che, invece, ne resta completamente ignaro.
Spesso sono gli stessi medici che, incerti su come la persona interessata possa reagire alla notizia, lasciano decidere la famiglia se sia opportuno che il paziente lo venga a sapere e, non di rado, si finisce con il prendere la decisione di non comunicarglielo per una sorta di tutela: “se sapesse una cosa del genere, si lascerebbe andare prima del tempo”.

Ogni persona, però, specie in situazioni così gravi, possiede tutto il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di comprendere in maniera adeguata le possibili implicazioni del caso, qualunque esse siano.

Perché non dare a tutti la possibilità di prendere in mano le redini della propria vita?
Perché non lasciare che sia lo stesso paziente a decidere della sua sorte, degli ultimi istanti di quella vita che sta giungendo al termine?
Che sia un adulto o un bambino non fa poi così tanta differenza. I piccoli, così come i “grandi”, hanno gli stessi diritti di poter conoscere la verità, di non esser presi in giro. Spesso si pensa, erroneamente, che ai bambini non vada raccontata la verità perché “tanto non capirebbero”, ma così non è.
Seppur in tenera età, i bambini sono in grado di comprendere che “qualcosa non va”, solo non riescono a spiegarselo, attendendo, perciò, talvolta invano, un chiarimento da parte degli adulti di riferimento.

È bene, perciò, privilegiare sempre un rapporto autentico tra il paziente e l’intera equipe che di lui si prende cura, perché solo in questo modo si riuscirà a costruire un rapporto veramente integro e unico grazie a cui paziente e famiglia possano veramente sentire di potersi fidare.
Psicologi, medici, infermieri, tutti in stretta collaborazione tra loro e con un obiettivo unico: la presa in carico globale non solo del paziente, ma anche della sua famiglia.

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