Dottoressa, ho un problema!
È da un po’ di tempo che con la mia compagna le cose non vanno molto bene. Io le voglio un gran bene e so per certo che anche lei me ne vuole altrettanto, ma è un periodo che veramente sembra che non ci sopportiamo a vicenda, qualsiasi cosa succeda. Eppure siamo sempre andati molto d’accordo. Questa situazione mi sta creando molto disagio, perché io fino ad ora non ho mai avuto alcun problema, sono una persona affermata, con una gran famiglia dietro le spalle. Ho molti hobbies e molti amici con cui condividerli. Una bella vita insomma. È solo che lei…

Vita perfetta, quasi invidiabile, se non fosse per…!
Spesso quando un paziente si presenta allo studio inizia a parlare di “un grande problema” che lo ha spinto a richiedere il nostro aiuto. Capita non di rado, però, che questo “grande problema” in realtà, sia soltanto la punta dell’iceberg, ciò che lo ha spinto ad arrivare al nostro studio, dietro cui, però, si celano altre criticità, ben più radicate e sommerse, le quali potranno emergere solo con un’attenta e iniziale analisi della domanda, già durante il colloquio iniziale.

È così, come nell’esempio riportato, capita che ci si trovi di fronte ad una situazione inizialmente quasi idilliaca: un lavoro redditizio, una fitta rete di amici, una famiglia molto unita alle spalle. Nulla che possa far pensare che ci sia altro oltre alla attuale situazione sentimentale definita “problematica”.

Entrando più nel profondo, però, potrebbero emergere altre informazioni, che non contrastano necessariamente con quelle iniziali, trovate in superficie, ma che ne riescono a dare una più accurata descrizione: il lavoro tanto acclamato, ad esempio, potrebbe essere stato scelto, inizialmente, per far contenti i propri genitori, per dimostrare loro di riuscire a mantenere un lavoro, nonostante i precedenti numerosi fallimenti.

Addentrandosi sempre di più, potrebbe venir fuori che la fitta rete di amici con cui si condividono i propri hobbies, altro non è che una fitta rete di conoscenti con cui in realtà, non si entra veramente in intimità. Potrebbe, ad esempio, emergere la difficoltà del soggetto ad entrare in relazione con le persone, la sua difficoltà nel riuscire a fidarsi completamente di qualcun altro.

Ci si potrebbe trovare di fronte alla descrizione di una famiglia molto unita e sempre presente, una famiglia per cui, sembrerebbe, che le feste non possano chiamarsi tali se non le si passano tutti insieme, tutti riuniti, ad esempio, a casa dei nonni materni. Vacanze, compleanni, anniversari tutti rigorosamente insieme e a cui nessuno può non partecipare semplicemente perché “non puoi avere un impegno quando tutta la tua famiglia si riunisce, non sarebbe corretto!”.
Una bella presa di coscienza da parte del paziente che, immediatamente potrebbe iniziare a pensare che quella gran bella famiglia del “mulino bianco” descritta altro non è che una famiglia, semplice, come le altre, composta da persone unite tra loro da un legame intenso sì, ma caratterizzato da alti e bassi, con alcuni difetti, così come le altre famiglie.

Nel caso in questione, ad esempio, si potrebbe avanzare l’ipotesi di una famiglia invischiata in cui tutti i membri “devono” esser sempre presenti e disponibili perché un qualunque imprevisto che imponga la loro assenza porterebbe tutti i membri a provare sensi di colpa per aver “tradito” quella stessa famiglia.
Sensi di colpa a volte presenti anche per aver semplicemente preso una decisione senza prima aver consultato qualcuno della cerchia familiare o senza aver seguito fedelmente i consigli di un genitore non propriamente d’accordo rispetto alle scelte che si ha il desiderio di intraprendere. Pensieri legati ad “imposizioni” talvolta esplicite, ma il più delle volte implicite e ripetute nel tempo che non considerano, però, l’enorme rischio di minare, così facendo, la fiducia nel figlio che con il passar del tempo si sentirà sempre più insicuro di intraprendere le proprie scelte e di soddisfare i propri bisogni, finendo, talvolta, con il non riconoscerli per niente, diventando, di contro, sempre più accondiscendente verso i bisogni degli altri.
Tutti elementi che potrebbero, con il tempo, incidere sul funzionamento globale del soggetto, sulle sue scelte, sulle sue relazioni future e sulla sua assertività, talvolta spingendolo e talvolta frenandolo, ma impedendogli comunque di realizzare a pieno i suoi desideri.

Così, la punta dell’iceberg inizialmente “portata” in terapia non fa che risalire, portandosi dietro un grosso bagaglio di informazioni utili per il paziente che, guidato dal suo terapeuta, potrà finalmente prendere consapevolezza del suo disagio e del modo tramite cui riuscire ad affrontare un cambiamento.

Perciò un’attenta e accurata analisi della domanda già nelle fasi iniziali dei colloqui può favorire, ad esempio, l’emersione di una condizione di dipendenza affettiva e di bassa autostima a seguito della quale l’obiettivo psicoterapico potrebbe essere quello di trovare e potenziare le risorse del paziente, favorendo il più possibile la sperimentazione di graduali cambiamenti nella sua vita, ristrutturando contestualmente, il significato dei precedenti fallimenti.

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