Ad un certo punto della propria storia, ogni coppia viene sfiorata dal pensiero della genitorialità.
Non importa quale sia il fine, se voler diventare o meno genitori, ma ogni famiglia, in un dato momento del proprio ciclo vitale, si trova ad affrontare il discorso e a porsi la fatidica domanda: vogliamo diventare genitori?
La risposta a questa domanda non necessariamente sarà univoca. Per svariate e diverse motivazioni, ogni coppia affronterà l’argomento in maniera unica e soggettiva e, allo stesso modo, si prenderanno decisioni in tal senso.
Uno dei dubbi che, talvolta, perviene nelle coppie in questo loro momento di vita è il seguente:
Fare un figlio è una scelta egoistica o altruistica?
Al di là delle diverse posizioni talvolta contrastanti, se analizziamo per un momento l’argomento da un punto di vista psicologico, la genitorialità di per sé, in quanto scelta del tutto personale, può essere ritenuta una forma di “egoismo” in quanto la persona/la coppia compie una scelta in un verso o l’altro in base ai propri desideri e alle proprie priorità. È pacifico ritenere, infatti, che, fino a quel momento, non esista ancora un soggetto verso cui indirizzare il proprio affetto e il proprio amore. Esiste un Io, esiste un Tu e un Noi a seguito del quale si prende una chiara decisione.
Ma allora che c’è di altruistico nella scelta della genitorialità?
Tutto ciò che avviene dopo la nascita, talvolta anche dopo il concepimento. Nel momento esatto in cui l’dea di un figlio si trasforma in realtà, allora è lì che si può iniziare a pensare in termini altruistici. Iniziare a compiere delle scelte pensando al suo futuro, prendere delle decisioni per il suo benessere, scegliere tra le tante alternative quella più giusta per la sua tutela.
Quindi, dal momento in cui si concepisce un figlio, si smette di pensare a sé/al noi per il suo interesse?
Assolutamente no, nulla c’è di più sbagliato che annullarsi per il bene di qualcun altro, anche questo fosse il proprio figlio. In questo modo, si trasmetterebbe il messaggio, sbagliato, che per essere accettati e amati dagli altri, bisogna necessariamente smettere di essere se stessi, smettere di provare emozioni o sensazioni se non sono in linea con quelli degli altri. Significa passare al proprio bambino l’idea che mamma e papà, in quanto tali, non hanno più il diritto di sentirsi individui, importanti e unici, perché il loro unico compito della vita è la crescita dei loro figli. Nient’altro.
E allora dov’è l’altruismo?
Per riuscire a pensare e agire in termini altruistici verso i propri figli non si può non passare per una sana forma di egoismo. Capire ciò che si vuole e cosa si prova, nelle scelte quotidiane, aiuta a sintonizzarsi meglio anche con l’altro, significa riuscire a captare nel figlio, ma in generale nell’altro, i più piccoli segnali di disagio o sofferenza, ma anche di gioia e felicità perché si è riusciti a farne esperienza ancor prima con se stessi. Il bambino deve poter imparare a sentire il proprio vissuto, a riconoscere e ad affermare le proprie emozioni e i propri sentimenti, senza paura delle conseguenze, senza paura di non essere compreso o accettato. E potrà farlo solo se avrà accanto un esempio che lo guiderà nella ri-scoperta di se stesso.
E se si sbaglia?
Magari si sbagliasse! Significherebbe mettersi in gioco, sporcarsi le mani, rischiando di fare bene o fare male, ma comunque di fare. Significherebbe provare a fare ciò che si pensa sia giusto, ma anche darsi la possibilità di cambiare idea, di averci provato ed essersi resi conto che quella non era la strada giusta da percorrere, per un sé o per un noi. Significa trasmettere al figlio il messaggio importante che nella vita non conta essere perfetti e impeccabili, perché la perfezione di per sé non dà la possibilità di mettersi in gioco, scoprirsi e, perché no, migliorarsi. Di fronte al pensiero della perfezione non si può che provare un senso di impotenza e di irraggiungibilità che porta, il più delle volte, ad un senso di inadeguatezza. Solo sbagliando, invece, si può imparare a chiedere scusa per i propri errori e, allo stesso tempo, imparare a dare all’altro una nuova possibilità, perdonandolo.