In caso di separazione non è raro trovare situazioni in cui, a seguito della difficoltà dei genitori di trovare un accordo comune, è il Giudice a decidere per l’interesse del minore.
Ma tali scelte rispettano veramente l’interesse del minore? Vediamone un esempio.

In presenza di una denuncia di maltrattamento nei confronti del figlio, il Giudice impone all’altro genitore di accompagnare personalmente il figlio dal genitore accusato di maltrattamento, pena futuri provvedimenti nei suoi confronti. Così il genitore denunciante, ricevute queste minacce (talvolta implicite), decide di eseguire il compito. Lo accompagna, il figlio non vuole scendere. L’altro genitore si sente impotente e inizia ad inveirgli contro: “è colpa tua se mio figlio non vuole vedermi”, “non fai nulla per cambiare le cose”. Il genitore denunciante teme per le possibili conseguenze di quell’incontro andato male, per cui insiste cercando di convincere il figlio a passare del tempo con l’altro genitore, magari per vedere anche i nonni che non vede da molto tempo.

Iniziano i ricatti, materiali ed emotivi. Si cerca di convincere il figlio ad effettuare l’incontro minacciandolo di togliergli il calcetto, la play, le uscite con gli amici. Si arriva, magari, finanche a minacciarlo di arrivare ad altre soluzioni, più drastiche come l’allontanamento anche dall’altro genitore. Si cerca di far leva sui suoi sensi di colpa perché “mamma/papà sta male se fai così, piange!”. Si tenta il vittimismo rispetto ai nonni che non riescono a vederlo: “cosa ti hanno fatto i tuoi poveri nonni? Sai che stanno soffrendo in questo momento?”. Stremati, si tenta di passare ad altro, di attenzionare altre situazioni chiedendogli magari come va la scuola, come va con gli amici, con lo sport.
I due genitori sembrano entrambi in difficoltà: l’uno impotente, l’altro minato, entrambi arrabbiati.

Ma come sta il figlio? Cosa prova lui in quel momento, quali i suoi pensieri, quale il suo vissuto?
Il bambino si sente strattonato emotivamente, ora dall’uno ora dall’altro genitore, confuso e destabilizzato. Se in un primo momento, magari, si è sentito protetto dal genitore denunciante, ora si sente tradito, aggredito, abbandonato: “Come mai adesso hai cambiato idea, perché mi fai questo?”.

Il bambino non può che sentirsi confuso. Si sente pressato, angosciato, non riconosciuto nei suoi bisogni, squalificato. D’altronde, sta cercando di esprimere un suo vissuto negativo, ma non si sente ascoltato. Nessuno sembra chiedergli come sta, come mai è arrabbiato, cosa dovrebbe succedere per riuscire a cambiare le cose.
Nessuno sembra tenerlo in considerazione. Allo stesso tempo, sente di avere un grande potere nei loro confronti. In fondo, è lui che decide cosa si farà veramente. E questo potere, il più delle volte, sembra scoppiargli in mano perché è troppo per lui.

Il bambino inizierà ad urlare, a respingere il genitore denunciato perché “non voglio e basta”.
Come fa quel figlio a fidarsi di quei genitori? Come fa a credere all’uno o all’altro quando il primo, ai suoi occhi sembra abbandonarlo e l’altro sembra importunarlo? Quali sono i suoi stati d’animo? È impaurito? Arrabbiato? Deluso? Frustrato?

Nessuno sembra farsi carico di questo, perché in quel momento tutti si sentono vittima di qualcun altro: il genitore denunciato si sente vittima del suo ex coniuge, il genitore denunciante vittima di un sistema che ha deciso per lui, il bambino vittima di due genitori che sembrano non badare ai suoi sentimenti.

Tutti sembrano essere sotto minaccia e coartati nella loro volontà.

Ma come può il genitore denunciante accompagnare pacificamente il figlio dall’ex coniuge considerato maltrattante? E come può il genitore denunciato mostrarsi imperturbato di fronte a chi lo ha denunciato? E come si può pretendere che, in questo quadro, entrambi possano riuscire a trasmettere serenità al figlio?

Come può essere, questo, il vero interesse del minore?

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