Buongiorno Dottoressa,
siamo qui perché nostro figlio da un po’ di tempo si comporta stranamente, si isola, risponde male, ha un atteggiamento strafottente nei confronti di tutti. Non lo riconosciamo più. Non parla con nessuno, non ha amici, non ha interessi. E in ultimo, è peggiorato a scuola. Per noi è stato un fulmine a ciel sereno, non sappiamo cosa gli sia capitato. Speriamo che con un suo intervento la situazione possa migliorare, perché sta diventando tutto insostenibile.

Quante volte sarà capitato di ricevere nel proprio studio un simile scenario. Genitori disperati per via dei comportamenti devianti e provocatori del figlio. Un figlio ingestibile, svogliato, con molte capacità, certo, ma che “non si applica”. Genitori che spesso, preoccupati dalla situazione, attenzionano i comportamenti sbagliati del figlio così tanto, da perdere di vista l’intero assetto familiare.
All’inizio del colloquio, infatti, tutte le attenzioni sembrano esser rivolte soltanto ai comportamenti sbagliati del figlio, alle sue problematiche, ai suoi disagi. Viene descritto, non di rado, il quadro patologizzato di ciò che, in ambito clinico, viene chiamato “paziente designato”: il membro della famiglia scelto inconsapevolmente da tutti per esprimere un disagio dovuto alla disfunzionalità dell’intero sistema familiare, nel gergo “colui che porta la croce”.
In una tale situazione, perciò, l’attenzione dovrebbe esser spostata dall’individuo all’intera famiglia, alle dinamiche relazionali che potrebbero contribuire all’insorgere del problema: rendere interpersonale, cioè, un disagio descritto inizialmente come individuale.
Non di rado, infatti, nel corso del colloquio, si scoprono dinamiche e situazioni disfunzionali nella famiglia: genitori in piena separazione, accesa conflittualità, situazioni lavorative svantaggiate che contribuiscono a manifestazioni di collera, liti in famiglia e altro ancora. Tutti scenari, questi, che potrebbero influire sul comportamento dei figli, specie se ancora troppo piccoli, quindi, non in grado di poter comprendere ed elaborare tali dinamiche familiari.
Bambini descritti come “isterici”, “nervosi”, “ingestibili” spesso, sembrano essere soltanto lo specchio dei propri genitori, le proiezioni dei loro disagi. E così, di fronte a litigi continui, sfuriate quotidiane e urla interminabili, il bambino non può far altro che manifestare il proprio malessere, interpretando il ruolo del paziente designato.
Adolescenti descritti come “assenti”, “svogliati”, “isolati”, ma anche “aggressivi” o “incontrollabili” probabilmente si rinchiudono in loro stessi o mettono in atto comportamenti devianti per cercare una via di fuga da quella situazione divenuta per loro insostenibile e ingestibile, perché privi dei mezzi necessari e adeguati per poter far fronte a simili problematiche.
Il disagio, però, seppur manifestato in maniera disfunzionale, è pur sempre una modalità di comunicazione, una richiesta implicita di aiuto.
La famiglia è composta da più componenti, tutti in stretta interazione tra loro. Ognuno di loro riveste un proprio ruolo, rispetta regole ben stabilite e tutti sono reciprocamente interconnessi tra loro. Una valutazione sul singolo individuo (il figlio), in talune circostanze, potrebbe far perdere di vista la complementarietà di ognuno di loro, impedendo così l’avvio al processo di guarigione verso alternative diverse da quelle inizialmente riportate in terapia dalle famiglie che, tramite paziente designato, indirettamente chiedono aiuto allo psicologo: arrivano per il figlio, ma in verità è grazie a lui (paziente designato) che riescono a trovare la motivazione per chiedere aiuto allo psicologo.

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